Febbre di Jonathan Bazzi
Post pubblicato su @labibliotecaerrante il 15 novembre 2021
“Febbre” di Jonathan Bazzi
Editore: Fandango
Pagine: 328
Nel 2016 Jonathan ha 31 anni e una febbre che appare e non va più via.
Lo
debilita, lo fiacca fisicamente e psicologicamente, cerca risposte
dappertutto: dai medici che inizialmente non hanno altre risposte a
parte la diagnosi di una semplice mononucleosi e la raccomandazione ad
assumere tachipirina, e su internet, dove invece le diagnosi sono
verdetti fatali.
Poi la risposta: è HIV.
Tra salti avanti e
indietro nel tempo, si alternano episodi dell’infanzia e
dell’adolescenza dello scrittore, con il presente; da una parte abbiamo
la sua crescita tra nonni e genitori a Rozzano, dall’altro la malattia,
il sollievo della diagnosi e quindi della conoscenza del nemico da
combattere che ormai ha un nome e un volto, il bisogno di dover
minimizzare il tutto quando si dà la notizia ad amici e parenti, la
necessità di doverli consolare invece che di essere consolato, la scesa a
patti con una malattia che è arrivata e non se ne andrà mai più, che
dovrà essere sempre tenuta sotto controllo con analisi e visite ad
intervalli regolari.
Il libro di Jonathan Bazzi mi ha stupito e
mi è piaciuto molto. Non voglio fare l’hipster, ma i “casi letterari” mi
lasciano sempre un po’ perplessa, ma in questo caso sono felice di aver
combattuto la mia perplessità per conoscere questo autore e questa
storia autobiografica.
Lo stile è essenziale e diretto, a tratti
frammentato – in certi momenti riesce a trasmettere perfettamente
l’ansia che si impossessa di chi ha qualcosa, l’ha di sicuro, ma non sa
cosa sia; la sinossi spoilera, sapevo già cosa aspettarmi dalla diagnosi
finale, eppure la sera in cui ho letto quelle pagine ho sentito io
stessa quel panico da sala d’attesa.
La tematica è complessa. Non
solo perché tratta di HIV (che continua ad essere un tabù), ma perché
parla di malattia. E la malattia è un’esperienza assieme universale e
personalissima.
Non combatto lo stesso nemico di Bazzi, ma come la sua
malattia anche la mia è cronica, anche la mia è arrivata e non andrà mai
più via – non esistono cure miracolose, esiste solo un ben poco stoico
scenderci a patti. Ci si scende a patti perché non c’è alternativa,
perché è l’unica via, perché in fin dei conti altre diagnosi sarebbero
potute essere peggiori, perché se il tuo nemico ha un nome è qualcosa di
conosciuto: brutto, magari, ma conosciuto.
Poi c’è il panico, ci sono i dubbi, c’è il momento di debolezza in cui si pensa all’unica maniera per uscirne.
Bello, bello, bello. Anche per tutto quanto viene trattato di distante dalla malattia.
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